La depressione lieve, detta anche distimia (o disordine distimico) è una forma di disagio depressivo minore nel senso che comporta una minore compromissione delle relazioni sociali e dell’attività lavorativa. La depressione lieve colpisce circa il 17 per cento della popolazione nell’arco della vita.
Si presenta con disturbi lievi ma con andamento cronico; solitamente (causa la relativa levità degli effetti) è frequente che il malato non ne sia consapevole in quanto convinto che il disagio quotidiano sia parte integrante, da sempre, del suo carattere.
Generalmente la persona distimica riesce ad espletare le proprie funzioni lavorative e ad avere rapporti sociali, ma in modo nettamente diminuito e con uno sforzo notevole anche nelle cose più “normali” e di cui le persone con le quali si relaziona, spesso anche i familiari stessi, ben difficilmente si rendono conto. L’atteggiamento quasi perennemente cupo, triste e taciturno può facilmente causare stizza, se non rabbia, nel prossimo che lo considera solo un fastidioso pessimista che si crede assuma volontariamente codesto atteggiamento per cause che non vuole esprimere, ed infatti o non esistono o sono sopravvalutate negativamente, e questo il distimico lo sa, ma anche il chiedere aiuto è una di queste difficoltà che sente insormontabili. In questo modo si innesca un circolo vizioso che rafforza nella persona che soffre di depressione lieve la bassa autostima, l’insicurezza e l’autopercezione negativa accrescendo lo sconforto e l’introversione.
Questa forma di depressione può influenzare la vita professionale e personale di chi ne soffre, ma può essere gestita attraverso un percorso, che prevede la diagnosi e l’assistenza di uno o più professionisti.
Una condizione di distimia non è da sottovalutare, in quanto potrebbe portare a:
- Una qualità della vita inferiore
- Disturbo depressivo maggiore, disturbi d’ansia o altri disordini dell’umore
- Abuso di sostanze
- Difficoltà relazionali e conflitti familiari
- Difficoltà scolastiche e lavorative
- Pensieri o comportamenti suicidari
- Disordini di personalità o altri disordini mentali
Come si riconoscono i sintomi della depressione lieve
I sintomi della depressione possono presentarsi in forma lieve, moderata e grave. Con la prima, ci si sente triste per la maggior parte del tempo o si può non provare interesse in attività che una volta erano piacevoli. Inoltre, la depressione lieve è generalmente accompagnata da alcuni (di solito non tutti) dei seguenti sintomi:
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- Presenza pervasiva di una sensazione di tristezza
- Dormire troppo o troppo poco
- Sensazione ricorrente di stanchezza
- Pigrizia
- Maggiore irritabilità
- Difficoltà a concentrarsi
- Sensi di colpa ingiustificati
- Perdita dell’appetito o aumento di peso
- Sensazione d’indegnità
Come distinguere la tristezza dalla depressione
Un avvenimento importante nella vita, come la morte inattesa di un familiare o di un caro amico può scatenare sintomi simili a quelli della depressione. Tuttavia, potrebbe non essere la forma più grave di questa patologia.
Il contesto e la durata dei sintomi possono aiutare, in parte, a stabilire se si tratta di questo disturbo o semplicemente di una reazione legata al cordoglio. Anche se in genere il senso di inutilità e i pensieri suicidi non sono presenti quando si è in lutto, durante la depressione lieve tendono a manifestarsi stati d’animo e pensieri negativi, incapacità di trarre piacere dalle attività preferite o altri sintomi similari. Questa sintomatologia può essere presente per la maggior parte del tempo.
Quando però il cambiamento di umore durante il lutto si trasforma in angoscia, e inizia a influenzare la propria vita con la presenza costante di pensieri negativi, allora potrebbe trattarsi di qualcosa che va oltre il normale cordoglio; potrebbe trattarsi di depressione reattiva, una forma strettamente legata ad un avvenimento doloroso come un lutto (o ad esempio a separazioni coniugali, alla rottura di un fidanzamento, ad un licenziamento, a fallimenti lavorativi o economici, a disturbi fisici, ad essere stati vittime di un reato o abuso subito anche in età infantile, a problemi con la giustizia, a una bocciatura a scuola) ma caratterizzata da un’intensità e una durata sproporzionate rispetto alla “normale” reazione di fronte a simili eventi.
L’elemento tipico della depressione reattiva è un sentimento di tristezza vissuto a livello cosciente e con forte partecipazione emotiva. Questa tipologia di disturbo dell’umore è molto frequente nel periodo dell’adolescenza o durante la vecchiaia, ma può insorgere a qualsiasi età, con una maggiore incidenza tra la popolazione di sesso femminile.
Quali sono i sintomi della depressione reattiva?
I primi sintomi della depressione reattiva si manifestano in maniera acuta e improvvisa. Come accade per la forma endogena della malattia, la persona presenta una perdita di interesse verso tutto ciò che lo circonda, umore triste e facilmente mutevole, apatia e pianti frequenti. A questi, poi, si aggiungono:
- ansia
- tristezza e continua sensazione di eventi catastrofici imminenti
- disturbi fisici quali cefalee, bruciori di stomaco e amenorrea
- disturbi dell’alimentazione
- disturbi del sonno
- allusioni alla morte o al suicidio
Il momento più delicato per le persone affette da depressione reattiva è la sera, poiché con il buio i sintomi tipici della malattia si accentuano.
Terapia e cura della depressione reattiva
In questo tipo di disturbo il trattamento è prevalentemente, se non esclusivamente, psicoterapeutico e lo scopo principale è quello di favorire una normale reazione all’evento doloroso scatenante.
Si cerca di evitare un intervento farmacologico che potrebbe rivelarsi dannoso sia perché può instaurare una dipendenza “psicologica” sia perché può dare assuefazione. Per questo tipo di disturbo l’uso di farmaci antidepressivi viene ritenuto superfluo, a meno che il quadro clinico non assuma le caratteristiche di un grave disturbo depressivo.
A volte può essere necessario l’uso di ipnoinducenti (quando i disturbi del sonno sono persistenti ed invalidanti) e/o di ansiolitici, se il livello di ansia, tensione e irrequietezza compromettono la capacità di affrontare le esigenze ed i problemi quotidiani.
Inoltre è importante individuare il rischio di suicidio o di complicazioni psichiatriche (alcoolismo, farmacodipendenza,..) per adottare tempestive misure terapeutiche e, se possibile, preventive. In alcuni casi può essere necessario ricorrere al ricovero in una struttura adeguata.
La depressione lieve nell’ottica relazionale
Humberto Maturana afferma che siamo animali amorosi, che l’amore è l’esperienza relazionale che definisce la condizione umana e che ci ammaliamo quando l’amore viene intralciato; quando la nutrizione relazionale (amore) in una coppia o in una famiglia è deficitaria costituisce modelli nocivi che si collegano alla distimia (depressione lieve) e alla depressione.
Quali sono le differenze tra la distimia (depressione lieve) e la depressione?
Nel depresso (depressione maggiore) sempre dal punto di vista relazionale, il contesto familiare è caratterizzato da una coniugalità armoniosa ed una genitorialità disfunzionante. La coppia è molto affiatata, i figli sono trattati in modo inadeguato, talora disprezzati o svalutati e inoltre non considerati “sufficientemente attraenti” per partecipare ai giochi relazionali, come invece accade per i distimici.
La genitorialità di un depresso si basa più su richieste e persino sullo sfruttamento che sulla valorizzazione di un ruolo riconosciuto al figlio. Spesso nelle descrizioni dei figli prevale un’aria narcisistica e le comunicazioni sono spesso cariche autosufficienza; sotto un’apparenza benevola che quasi mai trascura i bisogni materiali dei figli, è celato un atteggiamento critico e di disprezzo. Sono “esseri perfetti” e i figli sono un vago passatempo finché rispondono alle proprie aspettative, ma si disinteressano appena mostrano difficoltà o carenze.
I “distimici” a volte appaiono polemici ed affezionati alle discussioni, mentre i “depressi” sono soggetti ipersocievoli con una grande abilità nel dare una buona impressione, nel risultare simpatici. Sono propensi all’accettazione delle norme e ad auto incolparsi se queste non funzionano. Si sentono sottoposti ad un eccesso di norme e ad una responsabilità esagerata, ma sono molto resistenti ad affrontare una terapia, perché il contesto familiare esige un’osservanza assoluta della “rispettabilità delle apparenze”.
La famiglia del depresso: origini familiari di una patologia
La depressione rappresenta un tema controverso per gli addetti ai lavori. Da molti anni, essendo questo disturbo in drammatico aumento, psichiatri e medici, spalleggiati dal potente sponsor delle case farmaceutiche, si battono affinché la depressione rientri a pieno titolo tra le “patologie organiche”.
Questo tipo di pazienti si presta molto bene ad essere medicalizzato. Accettano volentieri ogni tipo di farmaco e, nel momento in cui la terapia non funziona, si autocolpevolizzano. In fin dei conti, spesso, sono cresciuti in un ambiente familiare che sconsiglia la critica, l’espressione della frustrazione e dell’ostilità e, per questo motivo, si sentono più sicuri in ambienti medici che psicoterapeutici.
Tuttavia, nonostante la netta prevalenza di interventi farmacologici, si ritiene che non ci sia disturbo psicologico più legato ad aspetti relazionali, in particolar modo familiari. Soltanto che tale ordine di cause non è sempre evidente e non c’è propensione a parlarne, per lo meno non come la controparte medica.
E’ necessaria una precisazione: quando si afferma che la depressione è un disturbo medicalizzato non si intende negare l’importanza degli aspetti biologici. Essi costituiscono la base sulla quale si innestano le nostre esperienze, una sorta di terreno su cui si impiantano gli effetti delle relazioni umane. Tuttavia per avere un buon raccolto non si può solo concimare “chimicamente” il terreno, bisogna curarlo giorno per giorno, scegliendo che cosa seminare.
Le caratteristiche della famiglia di un distimico
Dal punto di vista relazionale, si possono iscrivere in una situazione in cui vi è un buon funzionamento delle funzioni genitoriali e una coniugalità disfunzionale, caratterizzata dalla difficoltà della coppia genitoriale di risolvere i suoi conflitti. Un ragionevole interesse e coinvolgimento verso i figli da una parte, ed una conflittualità coniugale abbastanza intensa dall’altra, costituisce la cornice entro la quale la coniugalità disfunzionale altera, rovina la relazione con i figli. In queste famiglie, la coppia genitoriale è tutt’altro che coesa; il livello di conflitto tra i coniugi è molto alto e questi non esitano ad utilizzare i figli all’interno delle loro battaglie.
Catturato in questo “gioco” familiare, il futuro distimico sperimenta l’ansia legata al conflitto di lealtà, quando si avvicina “parteggiando” per uno dei genitori, si associa rapidamente la perdita della relazione con l’altro.
Il tema della perdita diverrà quindi centrale per la persona, generando tristezza e ansia, ogni qualvolta la storia di vita proporrà mancanze relazionali significative (rottura di rapporti di coppia ad es.).
Sebbene all’interno della famiglia le capacità genitoriali siano ben conservate, l’interesse per i figli è ostacolato dalla difficoltà della coppia a risolvere i propri conflitti, portando ciascun membro alla disperata ricerca di alleati. Si tratta, per usare una metafora, di una atmosfera politica, fatta di alleanze, coalizioni e continue rivalità. Se il primo figlio cade nel campo della madre, è molto probabile che il secondo finisca nell’orbita del padre, innescando una serie di conflitti anche tra fratelli. Questo ci permette di capire come il clima emotivo familiare sia costantemente teso ed esplosivo, con un alto livello di conflitti, punizioni e ricompense. La comunicazione intrafamiliare è fortemente condizionata dalle alleanze, si può parlare con gli alleati ma non è concesso essere aperti con gli antagonisti. Quando il figlio distimico si troverà a socializzare per esempio con gli amici, a scuola, in parrocchia o in vari contesti sociali, proverà molta ansia perché si sentirà schiacciato dalle norme morali, sociali, scolastiche ecc. e avrà difficoltà a legarsi (protezione, vicinanza ecc.). L’ansia che proverà, è la risultante del conflitto tra attrazione ed evitamento delle situazioni di socializzazione.
Le caratteristiche della famiglia d’origine nel Disturbo Depressivo Maggiore
A differenza del distimico, il futuro depresso grave viene al mondo all’interno di una coppia coesa, in cui il livello di conflitto è basso e la tendenza è quella di un funzionamento generalmente armonioso. Questa coppia dando priorità alla coniugalità sulla genitorialità, presenta difficoltà a svolgere le funzioni genitoriali. Tali difficoltà sovente si traducono in richieste eccessive e scarso riconoscimento degli sforzi che il futuro paziente compie. Questo tipo di comportamento dei genitori non è necessariamente manifesto, può essere anche estremamente sottile, ambiguo. L’esempio tipico è la figlia nubile o il figlio “debole di costituzione” che devono occuparsi dei genitori anziani o malati. Questi non sono necessariamente poco riconoscenti ma sostanzialmente è sempre la stessa persona a doversi sottomettere alle richieste.
Ad una prima analisi la famiglia della persona depressa può apparire molto unita ma in realtà sotto questa parvenza di coesione si rintraccia un fondo di espulsività e disimpegno. Anche se si parla molto di unità, il soggetto può avere l’impressione che la sua presenza sia in realtà superflua. La coppia genitoriale è effettivamente coesa ma esiste un forte contrasto tra la forza di questo legame ed il distacco emotivo nei confronti dei figli, soprattutto espresso nei confronti del paziente.
Lo stile genitoriale è tendenzialmente autoritario, anche se non necessariamente dispotico. Il genitore che esercita l’autorità ha un ruolo più attivo nello sviluppo del disturbo depressivo; è più esigente, svalutante, squalificante. Per contro, l’altro genitore, sebbene risulti più amorevole e accondiscendente, non può né vuole rovesciare le “regole del gioco”, contribuendo in modo passivo al mantenimento dello status-quo.
Il livello di adattabilità della famiglia alle situazioni sociali è molto scarso; ogni cambiamento è osteggiato e vissuto come una minaccia, così come le fasi di sviluppo e di crescita da parte dei figli.
Il tema che contraddistingue il nucleo familiare è la necessità di rispettare, di essere all’altezza, delle richieste esterne e delle apparenze sociali. Il successo sociale diviene un elemento indispensabile per essere accettati dalla coppia genitoriale; tutto questo si traduce in un alto livello di richieste e di obiettivi difficili da raggiungere per i figli, costretti a vivere in un contesto basato su richieste continue e irraggiungibili. Tale meccanismo innesca una spirale di situazioni, in cui si da per scontato il fallimento del futuro paziente rendendo, di conseguenza, l’incapacità “reale ed effettiva”.
In un clima familiare di questo tipo il giovane adulto si abitua a fallire e a non ribellarsi, costruendo la propria identità intorno a tematiche quali l’autoaccusa, il bisogno di perfezione, la necessità di rispettare le apparenze. Questo aspetto spiega il motivo per cui se il depresso cede alla disperazione cerca nel suicidio, atto supremo di depressione, la soluzione alla sua situazione. Suicidandosi la persona si autopunisce per non essere stata all’altezza delle richieste che gli altri esigevano da lui e, allo stesso tempo, si vendica dell’ingiusto trattamento di cui è stato oggetto, lasciando un amaro senso di colpa (esattamente ciò che la persona sente, quindi una sorta di: “occhio per occhio, dente per dente”) in quelli che sopravvivono.
Il periodo in cui la persona è maggiormente vulnerabile agli effetti nefasti del clima familiare è l’infanzia, inclusa la preadolescenza. Se il disturbo depressivo non emerge in seguito a stress durante l’adolescenza e la prima età adulta, diviene probabile che si “attivi” durante la prima “importante” relazione di coppia, nel momento in cui l’individuo comprende, rimanendone deluso, che, neanche in quel rapporto, l’assoluto bisogno di sostegno e aiuto può essere soddisfatto in toto.
La coppia nei casi di depressione lieve
La coppia del distimico si costruisce secondo modalità diverse dalla coppia del depresso “classico”. Generalmente si tratta di una relazione più equilibrata, in cui il potere decisionale è distribuito equamente ma che, proprio per questo, è più vulnerabile al conflitto. Effettivamente il futuro distimico tende a scegliere una persona con una storia familiare simile alla sua. Quando una nuova perdita (la morte del genitore alleato, l’emancipazione dei figli, la disoccupazione, ecc.) scatena la dinamica sintomatica nella persona, l’equilibrio di coppia si rompe, generando conflitti ancora più potenti.
Il meccanismo che si instaura è il seguente: a causa dell’impatto di eventuali perdite significative, il futuro paziente esprime delle lamentele che vengono percepite eccessive dal coniuge; tale percezione impedisce all’altro di mettere in atto adeguate risposte di sostegno e solidarietà. Il suo atteggiamento critico è percepito dal partner, che risponde, a sua volta, con distanziamento ed ostilità. L’emergere dei sintomi ansiosi e depressivi, che avviene solitamente in questa fase, determina un riavvicinamento del coniuge asintomatico, ma tale ricongiungimento tende ad essere vissuto, con il tempo, come manipolatorio e non autentico dal partner (“non lo fa per me, ma per non avere problemi”, ecc.).
Così facendo, la coppia si appiattisce intorno ad un processo di accuse, recriminazioni e sfiducia, che rendono cronico il disturbo.
Come si costruisce invece la coppia nei casi di depressione grave?
Considerando la descrizione (pur sempre generale) della famiglia del depresso, non sorprende che questi ricerchi protezione, tentando di fuggire al più presto e con urgenza, dai legami che lo imprigionano nella squalifica. La scelta del partner è dunque connessa con la necessità di ottenere ciò che gli è sempre mancato: una relazione caratterizzata da protezione e valorizzazione, piuttosto che da richieste. Nel momento in cui la incontra è possibile che i problemi finiscano.
Tuttavia, spesso succede che il futuro depresso si lasci ingannare da un’offerta relazionale solo superficialmente adeguata alle sue esigenze. Il tipico coniuge del depresso, infatti, è qualcuno che ha bisogno di mostrare a se stesso e al mondo che è in grado di sostenere e proteggere chi ha bisogno del suo aiuto. Il problema insorge perché l’aiuto che offre e di cui inizialmente la persona potenzialmente depressa usufruisce, è concesso più per le esigenze del dispensatore, che deve mostrare al mondo la sua forza, che di chi lo riceve.
Nel momento in cui il futuro paziente si rende conto del nuovo inganno (considerando quelli “subiti” nella famiglia di origine) può darsi per vinto, soccombendo definitivamente alla depressione.
La nuova coppia, una volta emersi i sintomi, si struttura in modo rigido: il paziente si abbandona progressivamente al disturbo ed il coniuge acquista sempre maggiore responsabilità e prestigio. Questa facciata serve al compagno per mascherare le sue debolezze; tanto più la persona depressa starà male quanto più il coniuge potrà dimostrare agli altri la sua bontà, la sua abnegazione, il suo impegno.
Riassumendo, la coppia si attorciglia intorno ad un meccanismo circolare, per cui le continue richieste di attenzione del paziente, frustrate dal consorte incapace di farvi fronte, fanno emergere i sintomi; questi innescano ancora di più una “reazione di aiuto” nel membro “sano” della coppia, rafforzando in chi manifesta il disturbo, l’idea di essere incapace, malato e dipendente. Se il meccanismo non viene interrotto la depressione si cronicizza.
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